Qual è allora il percorso nel quale vogliamo muoverci, alla ricerca della lucidità, a partire dalla condizione di oppressione, fastidio e negatività in cui spesso siamo soggetti a cadere?
Partiremo da un esempio, che consente di mettere sul tavolo sia la problematica che le vie attraverso cui vogliamo affrontarla.
Siamo disoccupati … allora il lavoro può iniziare!
Agosto 2013 – ritornati dal Sud America da un anno, dopo aver dato le dimissioni laggiù, qui in Italia non trovo lavoro, nonostante molti contatti e curricula spediti in giro.
Che cosa succede nella mia mente? Ecco alcune voci che sento dentro la testa, come sottili parole, I “pensieri invasori”:
“non ce la farò mai”
“avrei dovuto restare dov’ero prima”
“è colpa di Tizio e Caio, che mi hanno fatto fare questa scelta”,
ciascuna di queste voci, quando arriva, può prendere possesso della mia mente e allora mi “controlla” per un po’ di tempo: gira come un disco (nella testa), mi rende triste (e questa lo sento, invece nel plesso solare, o nella pancia). Poi, sazia delle mie forze che ha mangiato, questa voce cede il posto ad un altra, e da depresso magari divento agitato, e poi magari risentito (“certo che quel Tizio, grrrr!, se lo rivedo, gli direi questo e poi quest’altro.”).
Una buona parte della mia giornata può passare sotto l’influenza di questi pensieri e delle loro spiacevoli conseguenze, non solo per la questione del lavoro, ma anche per le mille altre cose che mi “passano per la testa”.
Che utilità hanno? Qual è il loro contributo alla mia vita? Un contributo enorme, e tutto negativo!
Purtroppo questa situazione di “possessione” da parte di voci e pensieri invasori, non scelti da noi, è la condizione normale della nostra esistenza, ma in generale non siamo in grado di vederlo, perché con quei pensieri siamo identificati, ossia non li vediamo, o al massimo li percepiamo in maniera vaga: manca in noi la sensazione di presenza a noi stessi. È come se esistessimo solo nelle pause fra un pensiero invasore ed il successivo, per un brevissimo istante, per poi reimmergerci nel … nulla.
Almeno finché non succede una cosa speciale:
Il ricordo di sé
Posso, infatti, attivare dentro di me, in questo istante, la mia vera natura, la mia essenza, che è al di sopra della mente e dei suoi contenuti. Come faccio?
Devo “svegliarmi dal sonno“, ora, fare un piccolo passo indietro rispetto a ciò che risuona nella testa, come a prenderne distanza.
Se riesco, mi sento vivo, presente dentro al mio corpo, spettatore attivo dei pensieri, setimenti, della postura del mio corpo.
Da questo stato di coscienza differente, mi accorgo che esisto anche senza i pensieri e posso guardare la mia mente: cominciare ad osservare i miei pensieri nella loro vera natura, ossia come ospiti di passaggio, a volte ospiti sgraditi, come ladri nella mia casa.
Hai mai provato questa sensazione? Forse quando leggi queste parole la puoi assaporare.
Allora comincerò a vedere che io spesso non scelgo i miei pensieri: invece essi arrivano e li subisco. C’è chi li chiama ego, chi aggregati, chi demoni.
Scegliere che cosa pensare è un lusso che possiamo permetterci solo dopo molti sforzi, perché li dobbiamo invocare intenzionalmente dopo aver raggiunto questo stato di presenza a noi stessi.
E allora?
“Va bene”, mi dirai, “ma sei sempre disoccupato. Allora che cosa fai per risolvere la tua situazione?”
Di certo io procedo nelle mie ricerche di lavoro, per avere colloqui, o pensando alla mia attività in proprio, ma lo farò molto meglio se decido io come usare la mia mente in ogni istante. Per esempio, quando voglio fare una ricerca, cercare davvero, e non scoprire che mentre i miei occhi guardano vuoti un annuncio di lavoro, in realtà, dentro, sto rimuginando qualche vecchio problema o un torto subito anni fa, o sto tremando per qualcosa che ritengo potrebbe succedere nel futuro.
E dove vado a cercare la condizione adatta per fare silenzio e decidere a che cosa penserò?
È proprio nel luogo dove i parassiti non possono raggiungerci, nello spazio sereno in cui la coscienza riesce a svegliarsi. Lì, anche se per un breve momento, sono di nuovo padrone della mia mente. Può sorgere spontaneamente quando siamo molto tranquilli, o perché qualcuno lo invoca, parlandomene. E dopo un po’, verrà da solo perché la mia coscienza comincia a prendere forza, il mio stato interiore è, per così dire, più vicino al pelo dell’acqua, dunque basta una piccola scossa per emergere e trovarmi col naso fuori.
Riassumendo
La fonte primaria della nostra infelicità non sono i fatti dal mondo, ma i pensieri ed emozioni che approfittano di quei fatti (ma in realtà delle nostre percezioni di quelli) per balzarci in testa e nella pancia per renderci la vita amara senza bisogno.
Tali pensieri ed emozioni possiamo anche chiamarli “nostri”, ma di fatto quel che sappiamo è che ci arrivano, da qualche luogo, evocati dagli stimoli che toccano i nostri sensi (*).
Prenderne le distanze, comprenderne la natura e la provenienza, decifrare le associazioni che si attivano in noi, è la chiave per vedere la realtà così com’è, e non più attraverso un filtro deformante, e smettere di soffrire quando non ce n’è alcun bisogno.
Molte altre cose possono essere fatte per ridurre o allontanare la nostra sofferenza interiore, come rimorsi, paure, tristezza, o anche le nostre brutture interiori, come invidia, odio, gelosia: conviene conoscerle per avere più strumenti a disposizione. Tuttavia senza un lavoro sui parassiti della psiche, il resto è solo un rimedio temporaneo. È come prendere un’aspirina quando si ha un dente cariato.
Prima di intraprendere qualunque lotta, naturalmente, dovremmo esserci resi conto che esiste un avversario, ed un problema. Direi anzi, il problema.
(*) ossia da quelle impressioni, che sono poi l’unica cosa reale che ci consta, e dalle quali deduciamo che ci sia il cosiddetto mondo esterno. Urca, che argomento ponderoso per una notarella!