Sheffield, Regno Unito, Marzo 2018
Caro Vito,
parto in quarta, dando del tu, magari perché da qualche anno mia moglie ed io viviamo in Inghilterra, dove anche alla Regina ci si rivolge con “you”, ma forse di più perché leggendo il tuo libro “Io e Dio” ho rivisto me stesso nei tuoi argomenti, nella tua ansia di trovare un raccordo, una via di unione, che ci permetta di riconciliare il nostro sentire umano con il desiderio di essere degni discepoli di Gesù Cristo.
Mentre, però, la tua ricerca ti ha portato assai vicino alla Chiesa Cattolica, e ha fatto di te un esperto nella Teologia, il mio cammino è passato attraverso studi scientifici, e poi studio e soprattutto pratica dei principi Gnostici spirituali appresi da varie direzioni.
All’Università di Sheffield, dove lavoro, ho recentemente cominciato a tenere un corso extracurricolare che ho chiamato “Conscious Learning”, diretto agli studenti di dottorato di tutte le facoltà, nel quale si stimolano gli allievi a questionare quanto gli viene proposto durante i loro studi, a smontarlo e rimontarlo per comprenderlo, e a sondare esplicitamente quali siano i limiti, dichiarati o sottintesi, entro i quali si muove il loro pensiero, per non restare bloccati quando la loro ricerca o studio sembrano chiusi in un vicolo cieco.
Quando ho cominciato la lettura del tuo accorato libro, ho sentito che alcune delle cose che ho scoperto, a volte a caro prezzo, in questi anni, sarebbero utili per chiunque si ponga quei problemi così reali, ma così poco discussi, che tu esponi, ma occorre mettere in risalto alcuni limiti non espliciti, ma ben presenti ed efficaci, che la cultura dominante in italia dei nostri tempi (io sono del 1967) ha piantato in tutti noi, chiudendo di fatto la strada a possibili soluzioni. Rendendo espliciti i presupposti che ci confinano ad uno spazio limitato, invece, possibilità di soluzione si presentano più facilmente, al prezzo, però, di lasciar cadere certe convinzioni.
Ti scrivo allora prendendo come spunto vari brevi estratti da “Io e Dio”, ai quali aggiungo un commento il cui scopo è introdurre punti di vista alternativi e concetti ulteriori.
Vorrei chiarire sin dall’inizio che quanto ti scrivo non è una confutazione o un tentativo di migliorare il tuo testo, che peraltro apprezzo molto. Sono invece qui parcheggiato, con la portiera aperta, per portarti a vedere un panorama mentale diverso, sorto dal mio percorso di studio e pratica, nel quale stanno molte delle cose che avrei voluto sentirmi raccontare da ragazzo, prima di avvicinarmi alla religione Cattolica, prima di allontanarmene confuso, e soprattutto prima di ritenere che dunque, “ovviamente”, io fossi un ateo.
Da allora moltissime cose sono cambiate.
Se accetti il passaggio, benvenuto a bordo! Mi dirai alla fine se credi che ne sia valsa la pena… ed ora allaccia la cintura!
Alberto Manni
Due idee fondamentali da appendere al muro prima di partire:
- L’uomo è in ogni istante, in uno fra vari possibili stati di coscienza diversi: non parlo di stati d’animo, di emozioni o sentimenti, ma di stati che possiamo considerare tanto diversi fra loro come il sonno e la (cosiddetta) veglia. Se uno non fa sforzi mirati, e per un lungo tempo, rimane quasi tutto il giorno in uno stato chiamato “identificazione”, o “sonno in piedi”. Questo è un modo di essere meccanico, solo vagamente cosciente, per cui dell’uomo si manifestano solo le parti reattive (che alcuni chiamano gli Ego), le quali collettivamente formano la cosiddetta Personalità. Le promesse che un uomo fa quando è controllato da uno degli Ego, sono facilmente sconfessate da un altro al momento di mantenerle, le sue “opinioni” sono spesso idee sentite che ripete, la sua “volontà” è solo il nome nobile dato al più persistente dei suoi desideri; il tempo per lui scorre vago, ed ogni pensiero o sentimento che gli balza in testa lo considera come proprio, gli premette “Io”, e subito vi si identifica, lo subisce, gli presta voce ed azione e poi ne paga le conseguenze. In altre parole, quando un uomo vive in tale stato di “identificazione” (identificato con un pensiero, un sentimento, un’azione), per quel lasso di tempo egli “non esiste”. La sua vita si fa reale solo in brevi istanti in cui si sveglia, fra un pensiero meccanico ed il successivo, e per un attimo si manifesta la sua Essenza, espressione dello Spirito. È allora che uno si sente “presente”, che avverte tutto come nuovo, che diviene sensibile alla bellezza, alla voce dell’interiorità, che avverte la fratellanza con ogni essere. Tale meraviglia, che spesso sorge in momenti in cui vediamo qualcosa di nuovo o di scioccante, purtroppo dura poco, e in breve uno cade di nuovo nella identificazione, per cui ricomincia a parlare, pensare e sentire come un automa, vivendo in quel modo stereotipato che di solito non solo ignora ma prontamente nega; quello stesso che i suoi amici conoscono tanto bene da farne imitazioni e caricature. Tale spiacevole fatto non va preso per fede: si può facilmente constatarlo dentro di noi, con qualche semplice indicazione. Da un uomo addormentato non possiamo aspettarci coerenza, né nobiltà, ma al massimo la parvenza di queste doti. Potrà, ad esempio, dirsi credente o cristiano, ma le sue azioni difficilmente saranno all’altezza. Un tale uomo “se ha bevuto il Caffé ama, se non lo ha bevuto, non ama”.
- Antichi testi gnostici spiegano che il Demiurgo è l’entità creata da Dio (non Jeovah, ma il suo principale), con lo scopo di plasmare l’Universo in base agli archetipi del Logos; se l’universo fosse un ologramma, come suggerisce il fisico David Bohm, allora Dio ne sarebbe la luce che gli dà vita, ed il Demiurgo la lastra fotografica che plasma la luce in tutte le forme. Il Demiurgo, però, ha subito gravi interferenze nella sua integrità, anche a causa di rituali magici eseguiti ai tempi di Mosé, sviluppando una estensione di tipo egoico che si è poi fatta passare per Dio sotto il nome di Jeovah, al punto di venire chiamato un “artigiano folle” dagli antichi gnostici. Questo sedicente dio, impostore, è quello spesso rappresentato nelle saghe nordiche nel personaggio del fratellastro del Re, che ne usurpa il trono (il ruolo Divino) corrompendone la sposa, Madre (Matrix) dell’eroe, il quale ha il compito di rimettere le cose a posto. L’eroe, qui, è ciascuno di noi, chiamato a risolvere a livello personale il medesimo problema che affligge il mondo macrocosmico, in cui al Demiurgo corrotto si viene ad opporre il Cristo, e che in senso microcosmico vuol dire che all’ego meccanico ed animalesco si oppone l’Essenza, la nostra parte nobile che ha il compito di riportare l’ordine, affinché ciò che sta sotto sia in armonia e obbedienza a quanto sta sopra.
Questo processo di rigenerazione interiore, che collega i due concetti qui riassunti, equivale a compiere il più frequente precetto di Gesù, quello di Vegliare ed Orare, che non vuol dire evitare di andare a letto, ma appunto conquistare continuità nello stato di Coscienza (detto Presenza di Sé o Ricordo di Sé) che quando è Sveglia fa della nostra vita una orazione costante a Dio. Un sufficiente numero di uomini e donne che percorrano questo difficile cammino di auto-realizzazione può rovesciare le sorti anche a livello macrocosmico.
Sulle definizioni e le dicotomie più o meno vere
La idea che qualcuno si dica religioso, credente, oppure non religioso, sembra di importanza capitale. Se però consideriamo che l’uomo ordinario (e qui intendo uomo e donna) non sa da dove vengano i propri pensieri e sentimenti, adotta la maggior parte delle posizioni per imitazione e convenienza, ed in generale agisce per reazione agli eventi (vedi concetto 1 sopra), in uno stato di sonno ipnotico, che peso può avere la sua affermazione di “essere credente”? Anche se in un dato momento dice di esserlo, poi la sua squadra perde la finale della coppa, e per tutta la settimana si comporta come se non lo fosse più: gli manca la continuità che deriva da un lavoro interiore di fusione e cristallizzazione di componenti nobili che pure può avere. Rimane solo un numero in una statistica, ma quale effetto potremmo mai aspettarci sull’anima di questa persona?
Ma poi, perché la parola magica per entrare in un supposto Paradiso sarebbe “credente”? Non è da stimarsi maggiormente un retto agire, piuttosto che la convinzione di credere in qualcosa? Veri e propri mostri in forma umana si sono detti religiosi e credenti, prima di sterminare i loro simili, eppure con una confessione strategicamente piazzata, e affermando di credere, dovrebbero stare eternamente meglio che un bimbo morto prima del battesimo. Sembra troppo facile aggiudicarsi un posto nei Cieli, ed al contempo questo ci soggioga a chi si presenta come rappresentante di Dio, l’unico con la “licenza di assolvere”, con le chiavi del paradiso. Quando si vedono queste cose in una setta, una concentrazione di potere che crea una strettoia, in cui tutti debbono passare, regolarmente gatta ci cova: voglio dire che quando un’offerta sembra troppo bella per essere vera, di solito vera non è, e di certo qualcuno ha qualcosa da guadagnarci. Come diceva Giovanni Falcone, se vuoi trovare il mandante, “segui il denaro”, che qui sarebbe anche l’energia emozionale degli umani.
Altra idea che complica l’indagine è la falsa dicotomia Uomo-Dio. L’uomo ordinario è spesso pronto a chiamare Dio una cosa o entità che sia in grado di dominarlo o di fare cose che lui non sa fare. Se chiamiamo Assoluto quel che sta in cima a tutto, fra lui e noi sono possibili molte altre forme di vita, tutte in un qualche senso “superiori” a noi, che avrebbero i mezzi per farsi chiamare da noi Dio, se volessero, e spesso lo hanno fatto. Delle loro prodezze amorose, brutalità, inganni, promesse infrante, comandamenti opprimenti e stragi sono pieni i libri, anche quelli cosiddetti “sacri” del mondo, ed i loro nomi e volti hanno da sempre riempito i templi a cui l’uomo intimorito portava sacrifici.
Da qui in poi metterò delle citazioni da “Io e Dio” in corsivo, a modo di conversazione, in evidenza rispetto al resto del testo, come quella qui sotto:
[da Io e Dio] A partire dal dolore che avvolge la vita, gli esseri umani hanno generato le loro religioni per cercare in esse consolazione, rifugio, anche solo un sorso d’acqua sulle labbra riarse. è… La percezione esistenziale della necessità di essere in qualche modo tratti fuori dalla rete di dolore che stringe questo mondo è la componente più forte dell’esperienza religiosa.
E’ giusto dire che il senso del mistero è sempre esistito nell’uomo (nell’uomo sensibile, non in tutti), ma altra cosa è dire che avesse bisogno della religione come noi oggi la concepiamo, con clero e dogmi. Una sana vita spirituale può assumere caratteri molto diversi da una religione istituzionalizzata. Mi pare anche molto azzardato assumere che gli uomini siano in grado di creare ex novo una religione, completa di libri sacri mirabilmente congegnati, teogonie, ritualità, esoterismo, e via dicendo. Forse l’uomo può arrivare a creare qualcosa come Scientology, o qualche setta di modesta sofisticazione, e comunque lo fa imitando sistemi di ben altra caratura.
Per chi crede che noi umani non siamo il punto più elevato della creazione, è assai più verosimile considerare la possibilità che le grandi religioni siano state impiantate da uno strato di esseri superiori all’uomo, approfittando del nostro senso del mistero, ma con fini diversi da quelli dell’uomo stesso. Ciò non toglie che l’uomo vi cerchi rifugio e consolazione, naturalmente, e quella è una delle ragioni della presa che esse possono esercitare.
Cosa ben diversa sono gli Avatara che qui e là sono stati mandati per seminare Conoscenza e Speranza. Le religioni organizzate, però, purtroppo si sono appropriate della loro figura ed insegnamento, per scopi molto diversi.
La produzione di simboli, miti ed immagini sacre, va soppesata alla luce del fatto che noi non scegliamo né controlliamo l’origine dei nostri pensieri e sentimenti, e qualunque entità di livello superiore al nostro può inserire contenuti nella nostra psiche, che in generale accetteremo come nostri, a meno di avere un livello dell’Essere superiore alla media.
(Hegel) quando si trova di fronte al dolore e all’ingiustizia nasce in lui la contraddizione da cui prende origine la religione
sì, in alcuni prende origine la decisione di aderire ad una forma di religione preesistente. In altri sorge la decisione di prendere le armi. Non posso dirmi d’accordo con Hegel, salvo forse dicendo: “prende origine in bisogno di una religione, nonché la presa che essa può esercitare si di noi” .
«Io sono il Signore e non v’è alcun altro. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e creo il male; io, il Signore, compio tutto questo»
Quanto ancora siamo disposti a chiamare Dio l’essere che ha dettato tali parole? Come al solito, può essere a noi superiore, ma da qui a considerarlo Dio il passo è lungo. Ben più credibile è che questa sia la voce del Demiurgo, una entità creata da Dio, con lo scopo di plasmare l’Universo, la quale ha però subito gravi interferenze nella sua salute mentale (vedi punto 2 nell’introduzione).
Perché si considera inevitabile che la partenza della propria vita spirituale debba essere una raccolta di libri tanto carichi di ambiguità, sacrifici, massacri, e predilezioni e vendette divine come la bibbia ebraica? Davvero riusciamo a mettere insieme quel testo con la sacralità della vita?
E’ una mossa carica di tragiche conseguenze quella di avere fatto convivere, in un solo libro, da una parte i testi deliranti dell’Ego del mondo (il Demiurgo nella sua natura inferiore, in arte JHVH) propugnatore della vendetta, occhio per occhio, assetato di sangue, massacratore di popoli interi, con predilezioni ingiustificabili, che promette terra e bestiame a chi lo serve e dall’altra gli insegnamenti altissimi di Gesù Cristo, che viene dalla antitesi del Demiurgo, e che propugna il perdono, l’amore per il nemico, non fa distinzioni fra Ebrei e non, e a chi lo segue promette il Regno dei Cieli, non bestiame.
Il “credente” che si basa su un fondamento così carico di contraddizioni parte dritto verso la dissonanza cognitiva, costretto a fare convivere nella propria mente tormentata fatti contrastanti, a partire dal “problema principe”, che se seguisse alla lettera l’esempio del suo dio, diventerebbe automaticamente un mostro.
In questo senso, quindi, la creazione del mondo coincide con la creazione di Dio, con il passaggio cioè dall’Assoluto in quanto Uno al Dio in quanto signore del mondo e degli uomini in esso.
Le prove dell’esistenza di Dio, in realtà sono prove che c’è qualcosa al di sopra, che muove il resto, o che esiste perché lo concepiamo (sì, nella nostra mente esiste), ma questo non vuol dire che il qualcosa sia benevolo, o che ci ricompenserà dopo la morte, o che sia un essere unico, piuttosto che una organizzazione di esseri.
Gli antichi hanno dato vita agli Dei per esprimere questa attrazione delle forze, delle passioni, degli ideali che volta per volta signoreggiano l’esistenza umana:
Come essere tanto sicuri che questa sia una creazione umana? Riesci ad immaginare davvero qualcuno che di sua volontà, comincia a scrivere una mitologia, erigere templi, fare sacrifici? Perché escludere l’ipotesi che ci siano altre forme di vita al di fuori di quelle che vediamo, capaci di iniziare un tale processo? Se crediamo a Dio, crediamo anche al demonio, no? Non era un grande ingannatore, quello?
il senso complessivo della vita, per dare risposta alle quali bisogna necessariamente sporcare la purezza della ragione con la passione della fede
Ma davvero non si vuole mettere nel discorso anche l’esperienza, magari interiore? Una delle definizioni della fede che troviamo nelle sacre scritture ci dice che la fede è l’esperienza delle cose che non sono visibili con i nostri sensi ordinari. Per esempio con una esperienza extracorporea, una visione interiore, un sogno lucido, una sensazione inequivocabile.
Così come nel grande sguardo di apertura, in quel “Vedo …, vedo…, vedo …” quel che manca è l’introspezione. Vedi tutto quel che c’è fuori (nei limiti dei nostri sensi), ma aiuterebbe notare anche tutte le cose belle, ed anche brutte che popolano l’interiorità, la quale rispecchia ciò che vediamo fuori. Se Dio è dentro di noi, perché non guardare anche li? Intraprendere l’auto-osservazione, riattivando il senso sopito della visione interna, è parte fondamentale del processo di rigenerazione interiore, e fornisce un punto di vista imprescindibile per comprendere questa tematica.
Le due leggi riguardano da un lato l’infinitamente grande, dove si deve rilevare un governo del mondo perché esiste un’effettiva evoluzione sia nella natura sia nella storia, e dall’altro l’infinitamente piccolo, che invece non conosce alcuna cura per la vita fisica dei singoli, nessuna attenzione personale, nessuna benigna potenza che si prenda cura della vita di ogni singolo passero e che conti ogni singolo nostro capello.
DI certo siamo impotenti a trovare una sintesi finché vediamo l’Uomo come culminazione e non plus ultra della creazione. Se lo vediamo, invece, come cellula di un tessuto, in mezzo ad esseri misteriosi e potenti, e come un essere suscettibile di sviluppo, ma per niente affatto obbligato a perseguirlo, le cose cambiano.
Servono le precomprensioni o no? – anche qui, un dilemma che non si risolve finché non notiamo i contenuti della mente nell’istante.
Se lavora su se stesso, l’essere umano è in grado di fare una specie di salto al di fuori della propria mente e di considerarla come dall’esterno, ripensando alle sue parole e alle sue azioni, riflettendo sul perché usa dire alcune cose e non altre, sul perché sostiene alcune idee e non altre, sul perché assume dei comportamenti e si astiene da altri.
Sei sulla buona strada, Vito, ma farlo in retrospettiva fa perdere il grosso di ciò che c’era da vedere. Farlo sul momento, peraltro, richiede che siamo presenti nel momento, “in diretta”, in quello stato di coscienza sveglia (Presenza di Sé o Auto Ricordo) che è frutto di un lavoro su di Sé. Uno dei vantaggi di farlo nell’istante è che vediamo perché abbiamo detto quelle parole o eseguito quelle azioni: ma non nel senso che avessimo alternative, quanto piuttosto vedere da quali stimolo sia partita la reazione. Potremmo accorgerci allora della pietosa condizione umana, per cui abbiamo detto e fatto l’unica cosa possibile data la nostra Personalità: non c’era nessuna scelta, per quanto ci piaccia, in retrospettiva, pensarlo. A meno che, naturalmente, fossimo presenti a noi stessi.
La risposta è semplice: perché l’uomo è l’unico essere vivente dotato di libertà. Ed è proprio la libertà, sua singolare caratteristica, a farlo sentire slegato, scoordinato, privo di un centro di gravità.
No, purtroppo non è così, se quella libertà non se la guadagna con un lavoro su di sé. La esistenza è un carosello di sentimenti angosce e pensieri non invitati, precisamente nella misura in cui uno non è presente a se stesso.
Una misura di egocentricità è da aspettarsi anche nell’uomo che, da credente, vuole avvicinarsi alla condizione di Cristiano. Tale egocentricità dà precisamente la misura di quanto è distante dalla meta il suo “livello dell’Essere”. Non è quindi fruttuoso vedere questa tensione come una dicotomia (o sei egoista oppure credente – inteso come un essere che cerca di liberarsi dall’egocentricità, e trovare la propria libertà nell’essere alla fine Cristiano, cioè chi sente e agisce come il Cristo ha insegnato).
Il viaggio prende le mosse dalla prima condizione, un sentire sincero di questo grande mistero in cui siamo immersi, ancora circondato dell’ego che gli è ostile, ma che, se opportunamente curato e nutrito, può far sorgere, in quella umile capanna che rappresenta la condizione attuale del nostro essere, quel meraviglioso portatore di Novità, Trascendenza e Redenzione che chiamiamo il Cristo.
“Figlioli, amatevi gli uni gli altri!” – bisogna rendersi conto che l’ego non può amare, e solo l’essenza ne e’ capace, dunque finché’ chi ascolta questa esortazione non e’ presente a se stesso, continuerà’ a chiamare amore tutte le sue caricature, che son proprie dell’ego, come la possessività’, il controllo, il paternalismo, e così via.
Ciò che auspico è un’altra cosa: è il superamento nella mente dei credenti della convinzione che la verità della loro fede cattolica si misuri sulla conformità alla dottrina stabilita dalla gerarchia, tanto in campo dogmatico quanto in campo etico. Ciò che auspico è l’introduzione nella mente dei credenti di una concezione dinamico-evolutiva della verità (verità = bene) e non più statico-dottrinaria (verità = dottrina), perché si possa finalmente superare quanto denunciava Simone Weil scrivendo di «ortodossia totalitaria della Chiesa»
Il cosiddetto credente, dovrà, allora, nel frattempo, smettere di cercare nella chiesa le stampelle psicologiche per non prendere in mano la propria vita dal punto di vista interiore. La forma esterna della chiesa cattura e canalizza la parte buona delle persone nobili, e costituisce un’eccellente sistemazione per tanti ego in coloro che non hanno stimolo a superarsi, ma si accontentano di sapere che se alla fine confessano tutto, vanno in paradiso. Mi dispiace per la delusione che dovranno subire nell’aldilà.
In conclusione, penso che ognuno debba domandarsi ancora una volta dove risiedesse il retto spirito evangelico, quello indicato da Gesù durante il colloquio con la donna samaritana parlando di «spirito e verità»: se nei papi che ordinavano di torturare e uccidere gli eretici (tra cui spiccano per particolare zelo persecutorio Paolo IV e san Pio V), se in Giovanni Calvino e Teodoro Beza che non esitarono a comportarsi allo stesso modo, o se nei singoli cristiani come Marsilio da Padova e Sébastien Castellion, rappresentanti di quella tendenza umanistica e liberale da sempre presente nel cristianesimo con nomi quali Nicolò Cusano, Giovanni Pico della Mirandola, Erasmo da Rotterdam, Gotthold Lessing, Immanuel Kant e ai nostri giorni Pierre Teilhard de Chardin, Paul Tillich, Albert Schweitzer, solo per citarne alcuni.
Chi ha paura di un predicatore eretico, e sente il bisogno di istituire un rigido sistema di controllo del pensiero e di repressione della dissidenza? Questa è la posizione di chi sa che il controllo che esercita sulla gente a lui assoggettata è precario, perché conosce le incoerenze e fragilità della propria dottrina, la quale non reggerebbe un confronto aperto ed onesto con i suoi critici, ed in ultima analisi, con la realtà. Esposta alla luce del Sole, portata fuori dalle stanze ammuffite del potere, una tale dottrina si disferebbe immediatamente.
E ancora: «La storia trasforma Cristo in qualcuno che è diverso da chi egli è in verità […] perché di lui nulla si può sapere. Egli può essere soltanto oggetto di fede e ancora: «La storia trasforma Cristo in qualcuno che è diverso da chi egli è in verità […] perché di lui nulla si può sapere. Egli può essere soltanto oggetto di fede
Questo fossato invalicabile deriva dal tentativo di trovare conferme della nostra sete di verità al di fuori di noi, con la forza di argomenti, dimostrazioni, confutazioni, conferme autorevoli, citazioni, mentre quello che davvero importa è quello che dentro di noi accade quando siamo in contatto con l’insegnamento o la narrazione della vicenda Cristica. La più perfetta delle prove non sortirà alcun effetto su qualcuno che ha un pregiudizio contrario. La più fragile delle dicerie basterà a trascinare per tutta una vita una persona che ha bisogno di una credenza per una ragione sbagliata, per esempio perché non sa gestire la propria vita. Senza avere pulito e aver preso controllo della propria mente e sentimento, le parole non potranno portare altro che conferme di ciò di cui siamo già convinti. E per fortuna, il Cristo non è esclusiva di Gesù, ma una forza che ciascuno è chiamato ad incarnare, la quale ha dato un luminoso esempio con un iniziato dei tempi, che ha rappresentato il “dramma Cristico” a vantaggio di tutti noi. Chi afferma che di lui “nulla si può sapere”, è tutto rivolto all’esterno, e crea in sé una dannosa convinzione, che poi gli impedisce davvero di scoprire alcunché.
Uno dei malintesi fondamentali (comodi per la mungitura delle anime) della interpretazione dei Vangeli è che Gesù abbia già riscattato tutti con la sua venuta, inclusi i mostri in forma di uomo che hanno macchiato di sangue la storia umana. Molto più sensata è l’interpretazione gnostica, che non è la persona di Gesù, ma la Energia cosmica della Cristo, che viene per riscattarci, e non lo ha fatto 2000 anni fa, ma lo fa se la incarniamo in noi, con un serio lavoro interiore. A rimboccarsi le maniche!
Se poi si guarda allo sviluppo storico del cristianesimo, emerge che il suo centro, ben lungi dall’essere la risurrezione, è la croce, è essa il simbolo per eccellenza del cristianesimo.
Ma nessuno si chiede come mai, con tutti gli eventi del Vangelo che culminano in una resurrezione, si scelga come simbolo chiave del Cristianesimo uno strumento di tortura e di morte? E perché si soglia portare in processione non un Cristo risorto, ma un crocefisso con appeso un Cristo morto, vinto?
Sulla lettura dei testi sacri:
Chi vuole davvero seguire Gesù, deve sapere che è ricondotto alla sua libertà.
così sarebbe se non ci fosse, in ambito religioso, un intermediario che regolarmente ci dice come interpretare, animato da zelo di parte, con dietro una enorme organizzazione che vuole vivere e prosperare e può minacciarti, sempre usando i testi sacri, se non ti conformi. Ma siamo sicuri che Gesù sarebbe soddisfatto di questo? Potremmo citare anche qui dei passi a favore e contro, ma come sempre, la scelta di quali si applichino è arbitraria, e porta acqua al mulino di chi sceglie. E poi, chi mai cerca dei passi contro la propria tesi, per metterla alla prova? E’ una rara mostra di coraggio..
Tale lettura della storia viene prefigurata in modo simbolico nei capitoli di Apocalisse 21-22 dove è descritta la Gerusalemme celeste, la quale è il criterio ermeneutico decisivo per una teologia della storia di tipo cristiano. Altri seguiranno criteri diversi per leggere e giudicare la storia: il progresso scientifico e tecnologico, lo sviluppo della società, la crescita dell’economia, l’espansione della propria razza o della propria religione, oppure criteri di tipo negativo perché basati su religioni e filosofie che non hanno fiducia nell’essere reale del mondo, per i quali la storia è solo decadenza, illusione, inganno.
Manca il criterio che si basa sulla Coscienza di ciascuno, e che ci obbliga a vedere come la situazione sia difficile, soprattutto a livello personale, e come siano in campo delle forze che dispiegano grandi sforzi perché lo stato della gente rimanga tale o peggiori.
«di come l’autorità di uno che parla modifichi profondamente l’ascolto, e la medesima cosa sulla bocca di uno abbia un effetto del tutto diverso sulla bocca di un altro»
Questa testimonianza, come ogni fatto di vita vissuta, merita tutta la considerazione. La lettura che ne faccio, però, alla luce della nostra mente condizionata, è necessariamente molto diversa. Questo principio, che senz’altro vige nel mondo, è infatti, purtroppo, una delle manifestazioni gravi di quanto detto sinora. Se allegando un nome famoso ad un concetto, posso renderlo ad un tratto degno di interesse, vuole dire che chi mi ascolta ha bisogno che una considerazione di autorità gli suggerisca se il concetto gli piace o meno, se dargli la dovuta attenzione, se prenderlo sul serio e così via. E’ un interruttore che può essere acceso o spento in noi, ed ha il potere di eclissare o creare artificialmente il valore intrinseco del concetto, decidendo per noi la luce in cui lo vedremo. Condizionati da questo, se un giorno, una persona che stimiamo poco, ci dicesse la frase che ci può salvare la vita, noi non la prenderemmo sul serio e… arrivederci nell’aldilà a raccontarla agli antenati. La visione della realtà è mediata da preconcetti che possono essere anche basati su cose vere, ma comunque in quanto preconcetti restano veli che offuscano il nostro pensiero.
Ma la questione assume tutta la sua tragicità quando ci dicano che l’autore di una certa affermazione o azione assurda o riprovevole è niente meno che Dio. Lo scontro doveroso fra la nostra forma mentis (non scelta coscientemente, figlia dell’ambiente) e quel che vediamo e sentiamo essere reale si fa cruento, ed è proprio questo che obbliga il teologo rispettoso a contorsioni disperate.
Ne viene che l’azione peculiare della fede teorizzata dal Magistero è anzitutto passiva, esprime sottomissione, obbedienza, subordinazione.
Caro Vito, è così in tutte le sette, cerca di fartene una ragione. Dai Testimoni di Geova, agli Scientologi, ai membri di Brahama Kumaris, o della cosiddetta Gnosi moderna sudamericana.
«fede = sottomissione dell’intelligenza»
Una definizione diversa che ho sentito è: Fede è vedere una verità con i sensi superiori, come l’intuizione o lo sdoppiamento astrale, per esempio (quando esci dal corpo fisico e vai ad esplorare i mondi sottili – posso testimoniare che la cosa avviene).
– Tu però abbi fede. Dio da questi mali trae il bene, anche se tu non lo riconosci. Non vorrai forse pretendere di conoscere ogni cosa? E dicendo questo sorride all’uomo senza guardarlo negli occhi e chiude la porta.
Tutti i personaggi che pretendevano di rappresentare Dio o un sapere superiore hanno evitato di guardarci negli occhi, o li nascondevano con occhiali scuri. La loro anima, che gli occhi mostrano, non era pronta a guardarci in faccia.
Caro Vito, forse per riparare le incongruenze della visione della Chiesa cattolica conviene incominciare facendosi da essa stessa indicare, e voglio proprio dire con l’”indice” naturalmente, che cosa leggere per primo. I testi Gnostici sono un esempio. A questo proposito, forse la rivelazione centrale è la posizione antitetica, sullo scenario della storia umana, fra il dio della bibbia ebraica e Gesù Cristo, impropriamente associati da qualcuno per tornaconto, ma in realtà provenienti da bandi opposti, e con propositi opposti fra di loro.
Come scrivevo all’inizio, se Geova promette ai suoi fedeli terre e bestiame, minaccia come una mafioso, uccide senza rimorsi, impone regole e proibizioni senza fine, Gesu fa tutto il contrario: promette una ricompensa spirituale, risuscita, guarisce, cambia “occhio per occhio” in “ama il tuo nemico”.
Il secondo fu invocato ed inviato per rimediare alla disgrazia occorsa quando il primo, che non era Dio ma invece una neoplasia cresciuta sulla entità chiamata il “Demiurgo” dagli Gnostici, aveva fatto della Terra un suo allevamento per avere sangue e dolore, che “sparsi in abbondanti sacrifici lo pacificavano”. Mi immagino Beppe Grillo che recita questa frase strabuzzando gli occhi, chiedendosi retoricamente: ma come facciamo ad adorare un personaggio che, se dovessimo definire dai suoi atti (e non dal nome e dai titoli che si era posti) sarebbe subito da arrestare o ricoverare come paziente psichiatrico?
Forse per questo la immagine prevalente di Gesù portata in processione è quella in cui è morto: la presenza di un Cristo Vivo non conviene alle entità che hanno preso possesso della sua immagine, e della Chiesa che avrebbe dovuto propagarne l’insegnamento. Per salvare le apparenze ne esibiscono il cadavere, con il sottofondo macabro di chi mostra cosa succede a chi si ribella.
Anche un papa non certo progressista come Benedetto XVI non ha potuto fare a meno, nel discorso tenuto ad Auschwitz il 28 maggio 2006, di chiedersi: «Dov’era Dio?», riecheggiando quanto già detto da Giovanni Paolo II nello stesso luogo.
A questo punto non dovrebbe essere difficile la risposta, ossia: quella entità chiamata Jeovah nella Bibbia Ebraica era li, a sbafare la sofferenza e l’orrore che esalavano dalle vittime, in questo nuovo olocausto, che probabilmente lo avranno “pacificato”.
Il Dio reale, che ha creato l’Universo, sembra meno preoccupato di noi dalla sofferenza e morte degli Umani, anche perché sa che il nostro spirito non muore come il corpo, e rinasce in altre forme. Altrimenti sarebbe reo di omissione di soccorso, e francamente, se avesse solo fatto questo pianeta infelice, come creatore sarebbe un gran fallimento.
Ma a ben vedere, da che cosa dovrebbe salvarci questo dio, oltre che da una morte violenta? I dispiaceri? Le malattie? Le delusioni amorose? Nell’ottica in cui siamo creature di Spirito, la risposta sarebbe: da quelle cose alle quali non c’è rimedio. Appunto: la morte fisica non deve essere una di quelle. La morte dell’Anima, invece sì. Cristo era venuto per quello, ma la sua missione non si è svolta come previsto. La cacciata di Jeovah non avvenne, e per questo il pianeta è ancora campo di battaglia.
C’è anche da considerare il fatto che l’uomo è una creatura suscettibile di evoluzione, ma solo pochi si addentrano su quella via, e le vicende terrene servono anche da terreno di coltura per tali casi, per coloro che si sforzano di superare la condizione umana e spingersi verso una condizione superiore, che potremmo chiamare angelica.
E ci sarebbe anche da considerare che non tutto l’Universo ruota attorno all’Uomo. Tutto è vivo, e pianeti, sistemi solari e galassie sono essere animati, per i quali una singola cellula della pelle del pianeta terra ( un uomo ) ha la medesima importanza che noi diamo ad una cellula della pelle del nostro calcagno. Che ci sia stato fatto credere che siamo i preferiti ed il culmine della creazione di un dio possessivo, è un modo per fare che noi lo nutriamo con sacrifici, scariche emozionali, terrore, e le energie della costante adorazione. E’ così che si alimentano le forme pensiero, o egregora. Alcuni mangiano una volta alla settimana, la Domenica, altri fanno cinque pasti (leggeri) al giorno, e così via.
C’è chi si è preso la briga di contare le vittime uccise da Dio e di Satana nella Bibbia, con una schiacciante vittoria del primo, di vari milioni a 10. Un cappotto inequivocabile.
Lo so che fa disgusto, ma queste non sono fantasie: vengono dalla cosiddetta parola di Dio, se vogliamo continuare a chiamarla cosi.
Ecco, l’Io a cui mi riferisco quale organo privilegiato del discorso su Dio si esprime al meglio dicendo «cuore», intendendo con ciò quella dimensione integrale dell’essere umano in cui l’intelligenza e la volontà sono unificate dal sentimento del bene, il più alto livello, a mio avviso, di ciò che chiamiamo «umanità».
Ben detto, Vito. Abbiamo conosciuto ambienti dove la gente evitava di chiamarsi “io” e diceva: “la mia persona ora va a mangiare”. Naturalmente seguivano una prescrizione del loro maestro spirituale, la quale però ha l’effetto di demolire l’autostima della gente.
E’ saggio tentare una distinzione, e se vuoi associare a questo lavoro di discriminazione un “sapore” interiore inequivocabile, che ti dica quando sei l’io superiore o quello inferiore, devi semplicemente entrare nel Ricordo di Sè, un’antica pratica fondamentale fatta affinché chi guarda il mondo coi nostri occhi sia il Dio in noi, o Essenza, invece che uno dei tanti io “ego”isti. Se ne parla ampiamente del nostro blog (spaziosereno.com), in maniera più analitica; ne trovi anche una sintesi in un documento attualmente solo in inglese o spagnolo, che abbiamo usato di recente per fare dei corsi, intitolato “Self Remembering, the forgotten Jewel of Inner Knowledge”.
Chi condanna l’io (egoista) e chi esalta l’ IO (superiore) hanno entrambi ragione, ma per capirli adeguatamente, occorre avere conosciuto i due lati di sé, non solo il primo, in cui vive ordinariamente chi non tenta di crescere interiormente, ma anche l’altro, in cui entriamo in punta di piedi quando cerchiamo l’Osservatore dentro di noi, colui che può guardare pensieri e sentimenti, e rivolgiamo lo sguardo interno verso di lui, sentendoci presenti: quella è la direzione in cui dobbiamo muoversi, sentire Dio in noi, e per cercare il Dio assoluto. In quel silenzio del Ricordo di Sè, della intima divinità, c’è molta saggezza disponibile per noi.
Queste, dunque, le uniche mie certezze: respiro e non respirerò più. E in questa antinomia che mi stringe la mente e mi pesa sul cuore vado alla ricerca dell’ultimo perché, per rendere il mio respiro più profondo e più lento, fino a quando, con il suo mistero, arriverà la morte.
Per fortuna, caro Vito, hai modo di sfatare la seconda certezza, attraverso due metodi che aiutano a sentire che la morte del corpo non ci minaccia poi così seriamente: la prima è l’esperimento dell’aldilà, spiegato nei testi sul Self Remembering, in cui ci si rende conto che l’Essenza non teme la morte, ed anzi, non la concepisce nemmeno. Il secondo è pratica la uscita cosciente dal corpo, cosa che in breve porta all’esperienza straordinaria di sentirsi vivi al di fuori del corpo fisico. Provare queste due esperienze può rasserenare moltissimo davanti alla inevitabilità della morte del corpo fisico.
In un certo senso posso scegliere di non credere, ma non di credere. Conosco chi ha scelto di smettere di credere, ma non conosco nessuno che ha scelto di iniziare a credere, perché quelli che hanno vissuto il passaggio dalla non-fede alla fede non parlano di scelta ma di conversione, designando una cosa diversa, dove la libertà connessa alla scelta sembra cedere il passo a un’altra dimensione della quale tradizionalmente si parla come grazia, anche se nessuno sa bene cosa sia.
Ecco che comincia l’opportunità di vedere la propria fede dal punto di vista dell’io inferiore, o vagliarla in uno stato superiore di coscienza. Adesso, chi è onesto con sè stesso, può scorgere se ha scelto di credere per uno slancio puro, o, per esempio, per delegare ad un ente, che chiama Dio, la responsabilità per quel che accade nella sua vita. Vedendo lo stato psicologico e morale del credente medio, possiamo dedurre che non tutte le scelte di fede sono della prima categoria.
Per me affermare l’esistenza di Dio significa credere che questa dimensione, invisibile agli occhi, ma essenziale al cuore, esista, e sia la casa della giustizia, del bene, della bellezza perfetta, della definitiva realtà.
Non vorresti anche provarla dal vivo, vederla e palparla?
La regola d’oro (non fare agli altri…) è figlia della sensazione di essere UNO con ogni altro essere: sentito questo con chiarezza, si può solo amare il prossimo come noi stessi. E’ l’argomento di una branca intera della spiritualità, detta non-dualità.
[…] e non c’è niente di più importante e di più bello dell’essere giusti e buoni, del coltivare dentro di sé una relazione con la realtà all’insegna di un radicale interesse, della relazione armoniosa. Credere in Dio significa estendere questa filosofia di vita alla storia e alla natura, significa assegnare a questa prospettiva un respiro storico e cosmico […]
Allora, però, avrai già chiaro che non puoi pretendere questo tipo di filosofia dall’attuale reggente del nostro pianeta.
«Solo coloro che pensano a metà diventano atei; coloro che vanno a fondo col loro pensiero e vedono le relazioni meravigliose tra le leggi universali, riconoscono una potenza creatrice»
Assolutamente d’accordo, anche se questo non implica affatto che tale potenza creatrice sia il mostro della Bibbia Ebraica né tanto meno qualcuno degli auto-proclamati dei di tante religioni. Il salto dall’una all’altra cosa è un tipico errore logico, che è assai comprensibile, tuttavia, perché qualcuno o qualcosa ha usato il suo potere per farcelo credere.
Chi l’ha detto che la capacità di stupore, la gioia infantile per la natura, l’ingenuità innocente della mente, la felicità per il solo fatto di esistere, la facilità di giungere alle lacrime, la voglia di giocare per giocare, e le altre proprietà dei bambini segnalino uno stadio dell’essere meno vero del serio disincanto degli adulti?
Siamo d’accordo, e questo si capisce bene considerando che il bambino nasce privo della sovrastruttura dell’ego, la quale non può aderire alla essenza fino a che il mondo adulto non incomincia a dargli la programmazione tanto consueta di disincanto, regole, autorità, etc. Farsi di nuovo bimbo, cioè liberarsi dell’ego, ci riporta nella parte superiore di noi stessi, il nostro punto di contatto con il Regno dei Cieli.
Vedendo i due poli della realtà (uomo corrotto in radice e insieme capace di vero bene) Kant coglie l’antinomia che definisce l’essere umano è…
“corrotto in radice” è un pensiero pericoloso, che può far perdere la speranza di una liberazione dal male. E’ più corretto attenersi all’osservazione e dire: “facile a cadere nel’egoismo”, o “il cui comportamento è spesso egoista”.
Ovvero: il dato di fatto dell’esistenza della libertà è evidente, mentre la causa dell’esistenza di un tale fenomeno (all’interno di un mondo perfettamente determinato da una catena di azioni e reazioni tra loro strettamente connesse) non lo è. Kant quindi non sa spiegare perché l’uomo abbia la possibilità di sottrarsi alla catena delle cause e degli effetti.
– e anche –
Il fenomeno fisico della vita assume nell’uomo una particolare configurazione data dal fatto che l’energia libera raggiunge in lui la possibilità di determinarsi
La risposta a questo è che l’uomo è meccanicamente predestinato, preda della catena di causa-effetto fintanto che il suo stato di coscienza è quello ordinario, di identificazione con le impressioni che giungono a toccarlo, mentre può esprimere una scelta libera quando è nello stato più elevato di coscienza, che chiamiamo Ricordo di Sè. La nostra natura è tale che questo ultimo stato (descritto qui più estesamente) non viene notato né intuito da chi è nello stato inferiore: occorre che qualcuno ce lo indichi, e inoltre occorre una disposizione aperta a vederlo e sperimentarlo.
Riguardo all’energia libera, dire che uno scelga di farsi del male (o del bene) usando la sua libertà è un triste malinteso. Egli segue la catena di azione e reazione, causa-effetto, forgiata nei primi anni di vita, e ad ogni bivio, purtroppo, prende la unica via che gli è possibile. Una vera libertà di scelta di apre solo in uno stato di coscienza superiore.
Questo «di più» presente nel fenomeno umano è ciò che ha permesso lo sviluppo della civiltà in tutte le molteplici manifestazioni, talora nel male, ma perlopiù nel bene.
Siamo obiettivi, Vito, coloro che hanno portato all’Umanità i progressi che riconosciamo come utili sono un pugno di Uomini e Donne, non certo rappresentativi del genere umano ordinario o medio. La stragrande maggioranza degli esseri umani non sono in grado di uscire dal ristretto circolo delle proprie abitudini, prendono a prestito frasi sentite e le chiamano le proprie opinioni, odiano ed amano in maniera meccanica, rispettivamente i propri cari e coloro che non la pensano come loro. Occorrono una perseveranza ed una ricerca speciali per dare un contributo alla civiltà, e generalizzando questo come se fosse un dono che tutti abbiamo, ti illudi grandemente.
Che peso saresti disposto a dare, di che considerazione degneresti, per esempio, le parole dette da una persona qualunque?
Colui che va in fondo al proprio cuore conosce la sua natura. Conoscendo la sua natura, conosce il Cielo
Come dicevano a Delfo, Temet Nosce. Ma dove sta la introspezione, lo studio di sé, nel catechismo? Come pensare che tutti i clerici deviati, che siano stati già scoperti o no, abbiamo fatto questo lavoro? Che cosa han fatto per loro i seminari? La conoscenza di sé non viene automaticamente, né facilmente, perché siamo normalmente in uno stato simile al sonno, in cui sognamo di noi tutto il meglio, e dal quale non siamo disposti a svegliarci se non a base di sforzi coscienti e sacrifici volontari. Questo non è metafora, e per entrare in tale ordine di idee occorre l’aiuto di esseri che già siano evasi dalla prigione mentale in cui siamo rinchiusi.
La grammatica fondamentale dentro la quale siamo iscritti da sempre è quella del nostro corpo, costituito dall’intreccio delle relazioni tra particelle subatomiche, atomi, molecole, cellule, fino all’insieme dell’organismo pensante e libero.
Dovremmo meditare su come un uomo libero possa votare per certa gente, e portare al potere dei veri e propri mostri assassini, di cui possiamo annoverare decine e decine di esempi, o scegliere di andare in guerra a morire in una trincea per invadere un paese vicino. Scusami Vito, se insisto su questo punto, ma credere il genere umano libero quando è intrappolato dentro ad un sogno è la più pericolosa delle illusioni. La stessa bibbia dice che Dio fece cadere un sonno profondo sull’uomo, ma curiosamente non dice mai che lo abbia risvegliato. A questo compito si son dedicati grandi Avatara, come Gesù, ma la loro opera è tutt’altro che compiuta.
La mente che produce la coscienza e ancor più l’auto-coscienza è la nostra più grande ricchezza, ma anche la nostra prigione.
Casomai ci trovassimo a parlarne, ti dico che nei termini in cui parla l’insegnamento a cui mi riferisco diremmo che la mente non produce la coscienza, essendo situata ad un livello subordinato ad essa, tanto è vero che possiamo osservarla dal punto di vista della Coscienza, ma non possiamo fare il contrario. Voglio dire possiamo prendere la distanza dalla mente (non concettualmente – voglio dire che ci sentiamo altrove: io qui, mente là), se facciamo un piccolo sforzo, ma non dalla Coscienza, che è la nostra vera natura. Che la mente sia sovraffollata di parassiti, schemi preconcetti, binari morti, dischi rotti che girano all’infinito, è certamente vero, comunque.
La mente è un utile strumento, ma non esaurisce la nostra natura intellettuale. Osservarla, e ripulirla è il compito che tocca a chi voglia evolvere, altrimenti le sue espressioni di fede e amore vengono cariche di clausole e distinguo, e spesso le porta via il primo alito di vento.
Io penso che la causa principale della crisi che a partire dall’epoca moderna non ha cessato di interessare il cattolicesimo, e che ai nostri giorni si manifesta in forme drammatiche, sia esattamente la perdita dello statuto dinamico della verità, cioè del collegamento organico tra la mente e la vita concreta.
A questo punto, Vito, avrai visto che le ragioni di questa crisi, cioè lo scollamento di una istituzione dalla verità della vita, è purtroppo una necessità strutturale di quella istituzione, perché aprirsi al dialogo con le candide domande che chiunque potrebbe porre sugli orrori, contraddizioni, e lati oscuri del loro cosiddetto dio (quello della bibbia ebraica), minerebbe tutto il castello di carte su cui è costruita la questo tipo di chiesa, che è una macchina mungitrice delle energie psichiche, a vantaggio di quella enigmatica e spiacevole creatura a cui fanno scudo coi propri corpi. La apertura al dialogo è un lusso che si può permettere solo chi ha la coscienza pulita e non ha scheletri (specialmente scheletri alieni, che fanno parecchio spavento) nell’armadio.
Consapevole di ciò, il mondo moderno si è rifiutato di collocare il punto di appoggio della libertà nella Chiesa o nella Bibbia e l’ha collocato nella libertà stessa.
Sì, purché ci si intenda. Per me la libertà è quella di chi domina la propria mente ed i propri sentimenti ed impulsi, altrimenti diventa libertinismo. Libertà non è fare sempre quello che ti va: Libertà è riuscire a fare quello che si deve, al di là delle voglie, delle tentazioni, delle programmazioni. Quello che chiamiamo ordinariamente volontà è solo il più forte o persistente dei nostri desideri. Altra cosa è fare scelte Coscienti. La distanza è enorme, e la colmano solo un serio e prolungato sforzo di attenzione, presenza di sè ed auto osservazione. A prescindere da quel che si sappia o si legga. La Coscienza non coincide con la cultura: tuttavia, se quest’ultima c’è, può farne buon uso. Il dramma è quando la cultura viene usata dall’ego, o peggio da creature votate al male, allorché essa consente sopraffazioni ed orrori di tutt’altra classe e portata.
In conclusione: spero, Vito, che ora ti sembri meno misterioso come una organizzazione tanto afflitta da incoerenze e contraddizioni, come la Chiesa Cattolica, che si è macchiata di tanti crimini durante la sua storia, possa ugualmente essere il luogo in cui uno conosce persone eccezionali.
Ogni setta che si rispetti, per funzionare deve necessariamente avere degli elementi di verità, nella dottrina, per attrarre le persone che sono il suo bersaglio, e nel caso della Chiesa cattolica, la bandiera è quella del Cristo, alla quale nessun anima assetata di Verità può rimanere indifferente. Peccato che le anime sincere e buone che si avvicinano, rimangano poi intrappolate in qualcosa che una volta passata la soglia, ti obbliga a prestare voti e giuramenti di fedeltà a qualcosa che con il Cristo non ha più nulla a che vedere, ma invece è la fattoria in cui il suo avversario, Jahvé, munge e tosa le sue pecore, spremendole attraverso meccanismi molto ricorrenti fra le sette di natura spirituale, per esempio il meccanismo collaudatissimo che estrae sofferenza attraverso la repressione e colpevolizzazione dell’impulso sessuale, o l’umiliazione della ragione umana.
I poveri spiriti nobili che si trovano attanagliati in tale prigione vengono invitati a credere che sia giusto soffrire indefinitamente e castigarsi per far piacere a Dio, senza sapere che colui che assapora il loro dolore è in realtà una caricatura deforme ed una immagine malata del Creatore, che li tiene nella fattoria per produrre dolore, avendoli legati con l’inganno nel suo pianeta prigione.
Se hai letto fin qui, Vito, ti ringrazio per avermi accompagnato in questo viaggio, come tu, attraverso il tuo libro, hai accompagnato me nel conoscere la tua prospettiva. Spero di esserti stato utile, e di parlare personalmente di tutto questo in futuro.
un caro saluto
Alberto Manni