Una volta chiesi ad una psicanalista se la sua scuola (Junghiana) desse qualche valore particolare allo spazio che c’è nella nostra mente fra due pensieri. La risposta fu semplicemente: “no”.
Eppure quello spazio, ho avuto modo di constatare, rappresenta una finestra sullo stato di coscienza superiore, che è quello che possiamo assaporare quando siamo in quello stato speciale detto il ricordo di sé.
Stiamo parlando, ovviamente, dello spazio fra due pensieri “meccanici”, gli invasori che occupano la nostra mente senza essere chiamati, come abbiamo visto.
Come possiamo constatare, non hanno durata molto lunga: in capo a pochi secondi o minuti se ne vanno, ed un altro prende il loro posto, ma in mezzo sta un momento di grazia, in cui abbiamo diritto ad una pausa.
Provate a cogliere questo attimo di passaggio: nel silenzio della mente ci sentiamo vivi, ed abbiamo una nuova prova che noi non siamo la nostra mente, e nemmeno i pensieri: noi siamo qualcosa di più:
un’essere che abita in un corpo, un essere che possiede, fra le altre cose, una mente.
E soprattutto, un essere che, quando è sveglio, quei pensieri li può guardare stando più in alto di loro, senza “perdercisi dentro”.