Quali sono le cose e le persone che più ci danno fastidio? Riusciamo a vedere il perché?
Fateci caso: quando si parla di una terza persona, che per esempio “è un antipatico”, riusciamo ad essere d’accordo con gli amici, ma quando dicono qualcosa scomodo di noi, che magari “siamo pigri” (che magari è verissimo), di colpo non riusciamo ad essere d’accordo, perché effettivamente non lo vediamo.
Tutti conosciamo qualcuno che, nel mezzo di una situazione simpatica, dice una frase stonata che lascia tutti in imbarazzo e distrugge l’atmosfera, oppure che quando si parla di cose serie, con una battuta fuori posto, fa capire che non comprende l’importanza della cosa.
A chi non è successo di sentire qualcuno dire una frase fuori luogo, e poi, quando gliene chiediamo conto, sentirlo rispondere: “ma io non ho detto questo!”. E ci crede davvero.
Nelle trame dei film e dei drammi, c’è sempre “bisogno” di un personaggio che si comporti in modo insensato, e crei il problema che poi l’eroe deve risolvere, magari a costo della vita. Per esempio, non essendo amato dalla bella, la rapisce per farla sua, oppure avendo una vita sballata, uccide per divertimento (cose molto in voga, attualmente).
Se costoro, nella vita e nei film, vedessero le relazioni che hanno col prossimo e le ovvie conseguenze delle loro azioni, non potrebbero agire in questo modo.
Eppure qualcosa impedisce loro di vedere, ed anzi, dal loro personale punto di vista, “hanno sempre ragione”, ossia hanno dei motivi che giustificano quel che fanno, solo che quei motivi partono da una versione alterata della realtá. Per esempio, chi fa del male gratuitamente, per noi lo fa “senza motivo”, ma dentro di sé, sente davvero di avere subito dei torti. A sua volta, chi li aveva commessi, naturalmente, credeva invece di agire a buon diritto, e così via.
Non vediamo la realtà
Dobbiamo renderci conto che noi non vediamo quasi mai “la realtà”.
Nell’istante, riceviamo i messaggi dei cinque sensi, con i loro limiti. Per esempio, per un cieco, la luce ed i colori non esistono . Possiamo dirgli il contrario, ma per lui, la cosa non cambia. Noi stessi, siamo ciechi a molte cose, per cominciare, alla maggior parte dei tipi di luce, portati dalle vibrazioni del campo elettromagnetico e dei suoni, portati delle vibrazioni dell’aria. Noi vediamo e sentiamo una piccola percentuale di questi fenomeni.
Tali limitazioni, ad ogni modo, sono il minore dei nostri probiemi: le impressioni portate dai cinque sensi, infatti, debbono essere “digerite” per dare un contributo costruttivo alla nostra vita.
Tale processo è possibile se, al loro arrivo, siamo in uno stato speciale di coscienza, cioè nel ricordo di sé, ma in generale, quando le impressioni entrano, dietro ai nostri occhi ed alle nostre orecchie, invece del nostro “essere” addormentato, è al comando un parassita, che le etichetta e immagazzina come fa comodo a lui: se è un parassita permaloso, sente una parola casuale e la incasella come un offensivo doppio senso, oppure se è vanitoso, lo incasella come un complimento. Così stravolte, quelle impressioni si depositano in luoghi errati e rimangono in noi a fare danni.
Le memorie che nascono da impressioni così maltrattate, per colmo di disgrazia, non sono fisse, ma possono essere rielaborate e deformate dai nostri parassiti psicologici fino a divenire irriconoscibili.
C’è chi è in grado di raccontare un episodio introducendovi un elemento del tutto falso, ma credendoci davvero, perché evidentemente alcune parti della sua psiche hanno storpiato le impressioni originali per i loro scopi: ad esempio, per apparire più brillanti, intelligenti, generosi. La cosa incredibile è che tutti vedono questa menzogna, meno chi la dice, per via di strutture interne alla nostra psiche, che gli studiosi della Quarta Via chiamano “ammortizzatori”.
Al momento di agire dunque, non lo faremo in base alla nostra conoscenza della “realtà”, ma lo facciamo in base al risultato di questa serie di operazioni incoscienti, per cui siamo pieni di pregiudizi verso certe persone, di idee grandiose su noi stessi, di pareri “precotti” su tutto, e sosteniamo con grande convinzione i nostri punti di vista, con forza tanto maggiore quanto meno conosciamo un argomento.
Immaginiamo un esercito che riceve ordini da un generale che ha accesso ad informazioni completamente sbagliate su chi è il nemico e dove si trova, ma è convinto di sapere tutto, e manda ordini perentori di attacchi, bombardamenti, alleanze o ritirate.
Riconciliarsi con la realtà
Che cosa centra questo discorso con il filo conduttore di questo blog?
Una parte importante delle nostre sofferenze viene dalle incomprensioni con chi ci sta vicino, dai sentimenti torbidi che alimentano i nostri parassiti psicologici, e che poi attribuiamo agli altri perché siamo incapaci di vederli su di noi: son troppo vicini, come il nostro naso!
Ma se sviluppiamo uno stato più elevato di coscienza, cominciamo a vedere il “lato nostro” dei problemi, e non siamo “costretti” ad addossarli a nessuno. Una costante osservazione di sé, saldamente basata nella presenza a sé, getta luce anche su questi angoli oscuri, e gradualmente “purifica” e “disinfetta” le parti malate della nostra psiche.
Ciò detto, esistono comunque varie tecniche per accelerare la guarigione dai danni fatti dai nostri parassiti, riportando questi grumi psichici alla luce della consapevolezza per scioglierli.
Ne descrivo qui un paio in cui ho fiducia, una prima rivolta al nostro lato emozionale, e la seconda al nostro lato intellettuale.
Un po’ di umiltá
La prima è un’insegnamento che proviene dagli Sciamani delle Isole Hawaii, che loro chiamano Ho’Oponopono, per dirigere la nostra attenzione verso un punto dolente, o una persona con la quale abbiamo un problema da risolvere, un “conto in sospeso”, e usare quella capacità che abbiamo (magari piccola, ma poderosa) di umiltà e di amore per ricomporre la frattura.
Lo potete trovare attraverso la divulgazione fatta da Joe Vitale, o direttamente alla fonte, su qualche sito web delle Hawaii. In sostanza, la cosa funziona così: supponiamo che mi venga spesso in mente quel collega che mi aveva trattato male, (chiamiamolo Steve) suscitandomi un senso di rabbia. Allora ogni giorno, dirò così:
“Steve, io ti amo, mi dispiace, perdonami, ti prego. Grazie!”
naturalmente, dirò questo mentre sento bene la mia presenza, il mio “essere in un corpo”, insomma, senza perdere il ricordo di sé, affinché questo abbia maggiore effetto. É magico, provatelo.
Un sano dubitare
Un’altra ricetta, viene dalla studiosa americana Byron Katie, la quale invita a mettere in discussione le nostre convinzioni, specialmente quelle che contengono un dolore o conflitto. Il processo passa attraverso tre “inversioni” sulle quali riflettere seriamente. È un modo di mettere allo scoperto i processi detti di proiezione attiva e proiezione passiva che gli psicanalisti junghiani ben conoscono.
Per esempio, a partire da un mio pensiero sul mio (povero!) collega, ossia: “Steve mi odia!”, provare invece a porre nella mente queste tre variazioni (o inversioni):
- Io odio Steve
- Io odio me stesso
- Steve non mi odia
per ciascuna di queste tre versioni, cercare con serietà degli esempi, nella nostra memoria, che le confermino: è probabile che li troviamo. Il processo completo, per chi capisce l’inglese, lo trovate qui.
Anche qui, naturalmente, farò questo sentendomi “qui”, “presente”, nello stato del ricordo di sé, per dare profondità a ciò che faccio.